Artribune / La Merda a Teatro. Secondo Cristian Ceresoli
by Alice Labor
Dopo aver vinto l’Oscar del teatro europeo e registrato un enorme successo di pubblico e critica in tutto il mondo, lo spettacolo di Cristian Ceresoli prosegue instancabile il tour mondiale, tenendo vivo il suo poetico flusso di coscienza sulla condizione umana. La protagonista e unica attrice Silvia Gallerano ne svela i retroscena.
UNO SPETTACOLO ITINERANTE
Nel 2012 al Festival di Edimburgo Cristian Ceresoli vince il Fringe First Award for Writing Excellence e Silvia Gallerano The Stage Award for Acting Excellence nell’intrepretare il testo rivoluzionario dell’opera La merda. Da allora Cristian e Silvia non si sono mai fermati, sconvolgendo le platee dei teatri di quasi tutti i continenti da Edimburgo a Copenaghen, da Roma a Madrid, da São Paulo a Milano, fino a Glasgow, Berlino, Vilnius, Adelaide e al celeberrimo West End di Londra, con quattro anni consecutivi di tutto esaurito. Partendo da rappresentazioni iniziali in spazi più intimi fino ad arrivare nei teatri più grandi, quasi fosse diventata uno spettacolo rock, la performance si è evoluta lasciando sempre più dilagare il suo potere evocativo.
Nell’ultimo tour italiano si sono esibiti in luoghi che non appartengono dichiaratamente al teatro e di fronte a un pubblico di addetti ai lavori, ma si sono addentrati nei luoghi meno convenzionali e allo stesso tempo più resistenti di fronte alla latente censura che ha sempre perseguitato questo spettacolo, fin dagli albori. Con coraggio hanno offerto la rappresentazione a un pubblico più vario e più libero nell’accoglierla, apprezzandola o rifiutandola con sincera spontaneità. “Il testo deve succedere ogni volta”, accade lì per lì, una vera performance in continua evoluzione. È Silvia a descriverci il suo delicato sforzo di restare in contatto con lo spirito del pubblico.
INTENSITÀ E DIALOGO
“È un lavoro di intenso dialogo con il pubblico e le sue reazioni”, lei stessa si fa canale delle emozioni che il testo comunica, spiegando in che modo la sua interpretazione acquisti sfumature diverse “nonostante la partitura sia sempre la stessa”. Percepisce i sospiri, le risate, le sensazioni di chi si trova di fronte. “È una scrittura pronta a ricevere” e lo fa anche attraverso la stimolazione di risate più o meno imbarazzate che sorgono spontanee di fronte all’imprevedibilità del percorso che l’autore ha scelto per noi. “La risata è un’apertura”, può essere espressione di imbarazzo, ma permette di sciogliere e dileguare quell’invisibile confine che si crea tra un pubblico intimorito e la grandezza delle emozioni dirompenti che la rappresentazione scaglia con precisione e coraggio. La risata permette di lasciarsi andare e apre alla tragedia, come solo il teatro classico sapeva fare.
Il personaggio nudo portato sul palco dalla Gallerano evoca un suo formidabile alter ego che, grazie alla sua bravura, ricorda interpretazioni come quelle di Franca Valeri. La sua è una maschera vocale vulnerabile che utilizza parole di indescrivibile ferocia, annullandone il senso di umanità, stimolando una reazione nel pubblico, incitando all’azione. Questo spettacolo è la testimonianza di “due quarantenni cresciuti nell’omologazione pasoliniana” che attraverso il linguaggio carnale che lo caratterizza graffia l’anima e penetra nel sentire umano come voce di una realtà lacerante.
ITALIA PROTAGONISTA
Protagonista è una giovane dal tono ingenuo che si definisce “una piccola del mondo” e, nonostante i tentativi esterni di prevaricazione e contaminazione della sua interiorità, riesce a essere ancora pura di fronte alla melma dei meccanismi sociali in cui si appresta a entrare, diventandone strumento. Questa è l’immagine di un’Italia che, per quanto ingenua, trova gli strumenti in se stessa per risollevarsi e rinascere dalle sua stesse ceneri senza dover rinunciare alla sua vera identità. La violenza e il coraggio che la pervadono non fanno altro che dilatare il suo profondo desiderio di successo e felicità. La merda è il delirio della storia e cultura umane, è il disciogliersi dell’illusione dell’identità di questo nostro paese. In questo assurdo letamaio viene però individuato colui che può ancora salvarci, “l’uomo che guarda il cielo”, che vede al di là dell’immanenza ed è ancora capace di stupirsi.
Ci ricorda che la vita si lascia sbranare davanti ai nostri occhi, di muti e spesso ciechi spettatori. Un moto di sdegno e nausea dovrebbe a quel punto spingerci ad alzarci dalle nostre tiepide poltrone confermandoci il nostro essere “dei piccoli” uomini che sanno ancora guardare il cielo. Perché “è grazie alla resistenza che c’è il nostro paese”.
“La merda e il mio pianto e di quelli che vogliono farcela!”. “Libera di essere la donna che sono!”. Sono urla laceranti di rabbia e riscatto di fronte al mondo delle apparenze che la rendono capace di gridare la propria verità di donna ed essere umano che prevale sulla falsità che la circonda.
NUDITÀ E SPERANZA
Si dimentica la nudità perché la violenza delle parole e la loro insita verità non potrebbero indossare altro che quel corpo nudo di donna. Questo è simbolo estremo della fertilità che grida potente ed evocativa. Inutile dire che la voce e la mimica della giovane Silvia lasciano a dir poco inchiodati alla poltrona, ammaliati e pervasi da quei brividi che solo i grandi attori sanno trasmettere. È un’opera catartica, di vero teatro.
Il percorso scenico termina con il canto di un’ombra luminosa nel buio che lascia nello spettatore un senso di feconda speranza. Uno dei più profondi conoscitori di questa nostra nuda Italia aveva già compreso l’intima fertilità della merda cantando “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Questa energia vitale accompagnerà Cristian e Silvia che inarrestabili si apprestano a proseguire il loro tour italiano e intercontinentale tra San Francisco e Vancouver.